Scendono i sentieri, sul bordo
della sera e si velano i campi
d’un colore fior del rosmarino,
azzurro ed una nebbia sottile
piange sull’erba: lo stelo del loglio
rigido di paglia incanutisce.
Girano i tordi fra le fette di pane,
il lardo con l’aglio, spennellati
dagli odori nella ciotola bianca.
Il rame sulla cappa in barbaglii
fra le pareti, stagnato al volere
della signora che s’inventa dolci,
riassumendo ricette dell’Artusi.
I contadini portavano le mele
l’insalata fra le patate e cavoli
e le uova nei giornali di ieri,
e le galline appese a testa in giù.
L’autunno, che lascia sollevare
dai funghi le foglie inumidite,
e la polenta nel paiolo nero,
osservano le file sulle assi:
tutta l’estate sotto vetro, perfino
la cotognata impalmata dal sole.
Ed un’aletta in caldo per un brodo
delicato per la signorina, la cara
zia che non vuol sedersi a tavola
e che scava orli a giorno e cifre
per la nipote che corre dietro al cerchio
di legno ed ha fra i capelli un nastro
azzurro, come il principe che sogna.
Anche i ferri da stiro sulle piastre
della cucina a legna s’arroventano
per piegare jabots, nastri di raso
per delle spalle candide e notturne
e rigidi plastrons dove balena
l’arma sbalzata sul vecchio orologio.
E la vita scorreva senza i dubbi
della beccaccia incerta sul sentiero.
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